Ruolo degli Agonisti del GnRH in pazienti affette da carcinoma mammario

Ruolo degli Agonisti del GnRH in pazienti affette da carcinoma mammario

I bisfosfonati comprendono una varietà di sostanze come l’acido zoledronico o l’acido ibandronico, approvate rispettivamente per il trattamento dell’osteoporosi e delle metastasi ossee. Bicalutamide Questo farmaco, che si prende per bocca una sola volta al giorno alla dose di 50 mg/die, è di solito usato in associazione agli agonisti LHRH nel primo mese di trattamento, per ridurre i fenomeni di flare-up sopra menzionati. Questo tipo di trattamento viene utilizzato anche qualora si presenti una recidiva della malattia dopo un trattamento loco-regionale chirurgico o radioterapico. I cosiddetti agonisti dell’LHRH (o GnRH) agiscono a monte rispetto agli altri farmaci ormonali, perché bloccano la produzione dell’ormone luteinizzante (LH), con cui l’ipofisi stimola l’attività delle ovaie e dei testicoli.

  • In questi pazienti è fondamentale migliorare la qualità dell’osso, evitando le fratture e impedendo fratture successive alla prima.
  • A conferma del ruolo dell’exemestane, i ricercatori riportano il fatto che dopo l’interruzione del trattamento si è osservata una reversione nella BMD e i tassi di frattura sono tornati paragonabili a quelli osservati con tamoxifene.
  • Smettere la cura prima del tempo rischia di vanificare l’effetto protettivo del tamoxifene contro un possibile ritorno della malattia.
  • Questa informazione contribuisce a caratterizzare il tumore e si ottiene, in fase diagnostica, mediante esame istologico condotto sul materiale prelevato dalla paziente con la biopsia di un nodulo sospetto.

La condizione per l’uso di questo prodotto, anche nei rari casi in cui il tumore al seno colpisce gli uomini, è comunque sempre la presenza sulla superficie delle cellule tumorali dei recettori ormonali, non necessariamente quelli per gli estrogeni ma anche quelli per il progesterone. La terapia adiuvante (o precauzionale) prolungata con l’inibitore di aromatasi Letrozolo, dopo 5 anni di terapia endocrina, è approvata e utilizzata in tutto il mondo per le donne in menopausa operate per tumore del seno sensibile ad ormonoterapia e con linfonodi ascellari positivi. Molte donne tuttavia soffrono eccessivamente per gli effetti collaterali avversi della terapia, come disturbi dell’umore e del sonno o vampate di calore.

Le pazienti con tumore avanzato

La terapia ormonale può ridurre il rischio di recidiva, ovvero la probabilità che il tumore si ripresenti dopo la conclusione di altri trattamenti (intervento chirurgico, radioterapia e/o chemioterapia) oppure può contribuire a ridurre per un certo periodo i sintomi di una malattia in fase più avanzata. Ha, inoltre, inserito il raloxifene nell’elenco dei medicinali erogabili a totale carico del Servizio sanitario nazionale per il trattamento preventivo del carcinoma mammario in donne in post-menopausa ad alto rischio. A oggi l’indicazione all’uso degli inibitori dell’aromatasi per la prevenzione del tumore della mammella non è autorizzata in alcun Paese.

  • Al contrario, in particolare nella formulazione giornaliera, tale molecola è utilizzata per l’induzione della maturità ovocitaria sfruttando l’effetto di stimolazione iniziale e rilascio di gonadotropine insito nel meccanismo farmacodinamico.
  • Tuttavia può comportare una serie di disturbi di entità variabile a seconda del tipo di composto.
  • Il testosterone stimola la replicazione delle cellule tumorali della prostata legandosi a specifici recettori che si trovano sulla superficie delle cellule stesse.

Saranno descritte in breve le caratteristiche dell’ormonoterapia adiuvante nel tumore della mammella. In particolar modo, verrà attenzionato l’impiego in premenopausa dell’exemestane, inibitore steroideo dell’aromatasi di terza generazione. Oggetto di studio saranno gli effetti ormonali e l’inattesa attività ovarica (sulla base dei dati riportati in letteratura) osservata nelle pazienti in trattamento con questo farmaco presso il nostro Dipartimento. Cos’è la terapia ormonaleLa terapia ormonale consiste nella somministrazione di farmaci che bloccano l’attività degli estrogeni, ormoni femminili normalmente prodotti dall’organismo ma responsabili dell’insorgenza e dello sviluppo di almeno due terzi dei tumori al seno.

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La terapia ormonale contribuisce a prolungare la sopravvivenza delle pazienti affette da tumore mammario ormono-sensibile e quando viene somministrata in seguito all’intervento chirurgico si parla di terapia adiuvante, perché aiuta a far sì che la malattia non si ripresenti. La scelta della terapia adiuvante deve tenere conto del profilo di rischio della singola paziente, delle caratteristiche biologiche della malattia e dello stato menopausale”, spiega la dottoressa De Sanctis. La neoplasia in cui la terapia ormonale ha una documentata efficacia è il tumore sieroso di basso grado, un tipo di carcinoma ovarico che risponde debolmente alla chemioterapia.

In questo caso gli inibitori dell’aromatasi sono la prima opzione di cura in caso di recidiva. Fondazione AIRC sta sostenendo diversi studi sull’utilizzo dell’ormonoterapia in diversi tipi di tumore dell’ovaio. Questi farmaci agiscono attraverso un duplice meccanismo, https://pct-info.com/product/halotestin-fluoxymesterone/ uno correlato alla soppressione degli estrogeni e l’altro diretto alla cellula tumorale. Diversamente da quanto avviene con l’ablazione ovarica tramite radiazioni o intervento chirurgico (ooforectomia), l’effetto di questi medicinali può essere reversibile.

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Per quanto riguarda la terapia ormonale per il tumore dell’ovaio, l’AIFA, l’Agenzia italiana del farmaco, consente l’utilizzo degli inibitori dell’aromatasi nel trattamento della recidiva, anche se in letteratura ci sono pochi dati sull’efficacia di questo trattamento. In clinica, dunque, vengono utilizzati, in particolare in caso di recidiva, nella pausa tra un ciclo di chemioterapia e l’altro. I risultati dello studio sono stati pubblicati nel 2019 sul Journal of Clinical Oncology e potrebbero portare a un cambiamento nella pratica clinica. Al momento infatti il tamoxifene è utilizzato a un dosaggio molto più alto, di 20 mg/die, che provoca pesanti effetti collaterali, mentre con il dosaggio a 5 mg/die gli effetti collaterali sono ridotti e più tollerabili per la donna.

Tuttavia, i ricercatori auspicano studi più ampi per capire se questi risultati si traducono in anomalie metaboliche clinicamente rilevanti. Il testosterone stimola la replicazione delle cellule tumorali della prostata legandosi a specifici recettori che si trovano sulla superficie delle cellule stesse. Gli antiandrogeni sono farmaci che bloccano l’interazione tra l’ormone sessuale maschile e questi recettori, inibendo così la crescita del tumore.

Gli inibitori delle aromatasi hanno un ruolo fondamentale nel trattamento adiuvante delle donne in postmenopausa con tumore al seno positivo al recettore ormonale. Tuttavia, sebbene molte delle pazienti trattate in questo modo abbiano un’eccellente prognosi a lungo termine, gli effetti avversi sul metabolismo osseo rappresentano una sfida clinica importante. Le donne trattate con inibitori dell’aromatasi risultano infatti soggette a una sostanziale riduzione della densità ossea e a fratture da fragilità.

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È necessario, quindi, effettuare un bilancio tra gli effetti positivi e quelli nocivi del sole, con il buon senso e l’informazione sanitaria, tenendo conto dell’età, del tipo di pelle, dello stato di salute”. Questo vale sia per la popolazione generale ma, a maggior ragione, anche per i pazienti oncologici per i quali il connubio sole e tumore è possibile a patto di un’attenzione particolare. Tale ovvietà sembra spesso sfuggire alla maggior parte dei
consumatori e, talvolta, anche agli operatori sanitari.

“Una paziente con tumore al seno sottoposta a terapia ormonale può essere indirizzata al reumatologo in caso di osteoporosi o di dolori articolari; in presenza di questi due fattori si parla di sindrome da inibitori dell’aromatasi. Per le donne che l’hanno seguita regolarmente per cinque anni, il rischio di morire di tumore al seno nei 15 anni successivi è inferiore di circa un terzo rispetto a quello delle donne che non si sono sottoposte al trattamento. In casi specifici, per ridurre ulteriormente il rischio di recidiva, sulla base dell’esame istologico iniziale e delle condizioni generali della paziente, l’oncologo può decidere di prolungare il trattamento fino a dieci anni.

L’esposizione al sole per chi fa radioterapia

Una valida alternativa al trattamento con analoghi LHRH può essere rappresentata dal trattamento con LHRH antagonisti o antagonisti del GnRH (per esempio il degarelix), specie nei pazienti a maggior rischio di flare-up o nei quali sia necessario ottenere più rapidamente la risposta terapeutica. Gli antagonisti del GnRH inibiscono direttamente l’LHRH a livello ipofisario attraverso un meccanismo di tipo competitivo e bloccano la secrezione di LH e FSH senza determinare effetti agonisti, consentendo pertanto di evitare il fenomeno del flare-up. Nelle prime settimane di trattamento questi farmaci possono scatenare (in misura diversa da farmaco a farmaco e in relazione alle caratteristiche individuali) un effetto paradossale di esacerbazione dei sintomi detto flare-up. Nella scelta del tipo di trattamento incidono anche l’età della donna e il suo desiderio di poter eventualmente avere dei figli dopo le cure.